Il feedback trionfa sulla storia: i silenzi assordanti di whatsapp

Come è cambiato il ruolo del feedback con il 2.0?
Qualcosa di forte deve essere accaduto!

Ce lo insegna il nuovo modo di interagire attraverso le chat che, a seconda di come evolvono le conversazioni, può generare in casi estremi vere e proprie reazioni da psicosi.

Gli sms per definizione nascono come messaggi brevi, modalità comunicative adottate laddove non è possibile fare una telefonata.
Oggi la telefonata è una delle attività più insolite che si possa svolgere con uno smartphone.

Emoticon, puntini di sospensione, visualizzazioni non visibili, spunte blu, orario degli accessi: questi gli elementi alla base di una nuova forma di disagio comunicativo legata alle difficoltà di interpretazione del feedback.

Il mondo della comunicazione in chat oggi è popolato da 3 diverse specie:

  • Quelli che continuano a usare le chat come sms: forse vivono meglio, ma non sfruttano a pieno lo strumento perché si limitano a utilizzarlo per la messaggistica senza entrare nel mood conversazionale caratterizzato dalla velocità di controllo e di risposta, di interpretazione delle emoticon e delle non risposte (di come si comunica non comunicando abbiamo già parlato in questo post, leggi qui).
  • Quelli che hanno oltrepassato le soglie del mood conversazionale e vagano nel regno del delirio: interpretano i silenzi come minacce, le assenze di tag come iniziative di esclusione sociale, le spunte blu senza risposta immediata come indifferenza, l’impostazione della privacy che oscura l’ultimo accesso come un ambiguo modo di agire nell’ombra.
  • Quelli che cercano di sfruttare le possibilità offerte da questo strumento in termini di utilità, che sono consapevoli di poter chiudere la chat all’occorrenza e che si appellano all’orario dell’ultimo accesso solo in situazioni di estrema urgenza o gravità.

Al di là dell’ironia che può suscitare l’andamento generale dei fruitori delle chat, quello su cui voglio invitarti a riflettere e ad analizzare è come le trasformazioni introdotte dai nuovi canali comunicativi abbiano travolto la società, influenzato le reazioni emotive potenziando quello che è già uno strumento determinante nei processi comunicativi: il feedback.

Il mondo cambia, le persone possono fare diecimila cose con uno smartphone in mano e chi comanda è sempre lui, uno dei pilastri ancestrali della Comunicazione: Sua Maestà il Feedback.

Come ti consiglio di vivere questo cambiamento?

In un’ottica di crescita facendo un semplice excursus storico.

Nella definizione del vecchio assioma ci si affidava al ruolo “correttivo” del feedback: “ti restituisco un feedback per correggere il tuo errore”.

A partire dagli anni 2000 il ruolo del feedback si è spostato verso un’altra direzione: “creiamo una cultura del feedback dove il feedback è accettato in azienda per crescere”. Questo ha generato un grosso problema dovuto a un abuso dello strumento: si davano feedback continuativi!

Nel 2.0 la modalità si è rivoluzionata: il feedback è richiesto perché percepito come uno strumento di crescita anche attraverso la solo modalità conversazionale.

Alla fine, per ora, di questa riflessione ti invito a fare un salto laddove tutti i tuoi dubbi sulla comunicazione saranno dissipati.

Corri a leggere qui!

Appuntamento con i discorsi nella storia…recente: il discorso di Emma Watson alle Nazioni Unite.

Appuntamento con i discorsi nella storia…recente: il discorso di Emma Watson alle Nazioni Unite.

Il 21 settembre del 2014 una giovanissima donna, l’attrice Emma Watson, ha tenuto un discorso sui diritti delle donne a New York, in qualità di nuova ambasciatrice del settore UN Women delle Nazioni Unite. Nota anche per la sua campagna He for She, ha posto l’attenzione su un tema su cui si dibatte da decenni, ma nei confronti del quale i modelli e le strutture sociali ancora manifestano una forte resistenza: l’uguaglianza di genere.

Come mio solito, mi soffermo sugli aspetti tecnici del discorso per lavorare sulla costruzione di un messaggio efficace a sostegno del contenuto che si intende sviluppare e del messaggio che si vuole veicolare.

Ecco il testo del passaggio che credo sia utile analizzare:

La struttura è particolarmente interessante perché è come se fosse suddivisa in blocchi autosufficienti che seguono il loro iter – incipit, sviluppo, atterraggio – .

«Più ho parlato di femminismo e più mi sono resa conto che troppo spesso battersi per i diritti delle donne era diventato sinonimo di odiare gli uomini. Se c’è una cosa che so con certezza è che questo deve finire. Per la cronaca, il femminismo per definizione è la convinzione che uomini e donne debbano avere pari diritti e opportunità: è la teoria dell’uguaglianza tra i sessi – politica, economica e sociale»

In questo primo blocco, Emma Watson arriva subito al dunque: illustra immediatamente il limite con il quale si è scontrata. Il ritmo è già forte, non ci sono elementi di contorno: l’essenziale basta per tenere alta l’attenzione.

«Quando avevo 8 anni, ero confusa dal fatto che mi definissero una prepotente perché volevo dirigere la recita per i nostri genitori: ma ai maschi non succedeva. Quando avevo 14 anni ho cominciato a essere trattata come un oggetto sessuale da alcuni media. Quando avevo 15 anni le mie amiche hanno cominciato a lasciare le squadre degli sport che amavano perché non volevano diventare muscolose. Quando avevo 18 anni i miei amici non erano capaci di esprimere i loro sentimenti.”

Secondo blocco: come si è arrivati fin qui, cosa c’è dietro, quale è il filo da risalire per capire cosa ha ispirato le sue idee e la sua posizione.

“Ho deciso di diventare femminista e la cosa non mi sembrava complicata. Ma le mie ricerche più recenti mi hanno fatto scoprire che “femminismo” è diventata una parola impopolare. Le donne si rifiutano di identificarsi come femministe. A quanto pare sono considerata una di quelle donne le cui parole sono percepite come troppo forti, troppo aggressive contro gli uomini, persino non attraenti. Perché questa parola è diventata così scomoda?»

Quest’ultimo blocco rispecchia molto bene le caratteristiche della fase di chiusura perché ne contiene due degli elementi fondamentali: la conclusione delle sue riflessioni e la domanda verso l’esterno, l‘invito ad accogliere il suo pensiero e porsi delle domande per riflettere.

Il nostro appuntamento mensile con i discorsi della storia si conclude qui, per approfondire la struttura del discorso non dimenticare di fare un salto qui!

È realmente giusta la forma del tuo messaggio?

Continua l’avventura nel mondo della comunicazione web (clicca su questi link se hai perso i post precedenti “Caro cliente ti scrivo” e Cosa racconti al tuo pubblico del tuo brand).

La comunicazione web richiama all’ordine l’elemento cardine della comunicazione scritta: il contenuto.

Quando si parla di Content ci si riferisce proprio alla capacità di arrivare all’utente, che spesso è anche cliente, attraverso la produzione di contenuti.

Abbiamo visto nel primo post quali caratteristiche devono avere questi contenuti e nel secondo post i canali attraverso i quali veicolarli.

Oggi vediamo che forma dare ai contenuti, come possiamo “impacchettarli”, in quale veste vogliamo che arrivino all’utente.

Fino a qualche tempo fa le aziende, piccole o grandi, veicolavano il proprio brand attraverso una comunicazione monodirezionale: volantini, manifesti, comunicazioni radio o tv, siti vetrina statici.

Il web 2.0 ha rivoluzionato il modo di rivolgersi ai propri clienti trasformando la comunicazione monodirezionale in conversazionale, alimentata non solo dai feedback dell’utente, ma anche dalle sue stesse sollecitazioni scaturite da richieste di informazioni, curiosità, confronto con altri consumatori.

Dato per assodato che ci si rivolge a un pubblico informato e molto profilato voglio richiamare la tua attenzione su 3 fondamentali tipologie di messaggio:

  • Divulgativo/informativo. Questo è il Content puro: scrivo di ciò che so perché possa servirti, dunque ti metto nelle condizioni di avere delle informazioni chiare per renderti autonomo nelle decisioni di acquisto. Qui ho l’opportunità di trasmetterti il valore del mio prodotto/servizio e di quali miglioramenti può portare nella tua vita.
  • Promozionale. Questa scelta implica uno slancio commerciale più pronunciato, si tratta di comunicazioni che vengono impostate secondo criteri di target specifici e che contengono indicazioni su prezzi, offerte, deadline,sconti.
  • Storytelling. Qui devi avere la capacità di andare oltre il prodotto/ servizio e saper raccontare tutto quello che gli gira intorno: le fasi di lavorazione, i valori del team, gli eventi, gli esempi a cui ti ispiri, le cause a cui ti senti vicino, etc. Occhio però: ok raccontare, ma tieni sempre presente il focus del tuo discorso, perché il rischio di voli Pindarici è alto!

Bene!

Direi che per ora è tutto!

Adesso ti accompagno a fare un altro giro per completare questo discorso: clicca qui!

Cosa racconti al tuo pubblico del tuo brand?

Sei certo di saper comunicare il tuo brand?
Come lo stai facendo?
Come già sai #semprelaparolagiusta è l’hashtag che riassume tutta la mia impostazione e il mio modello di comunicazione e, in questo caso più che mai, la comunicazione del tuo brand non può esulare da questo imperativo categorico!

Nel precedente post, che ti consiglio di leggere nel caso lo avessi perso, (ecco il link) ho introdotto le basi per raccontare te stesso, la tua azienda, i tuoi servizi, al pubblico che ti segue, nello specifico, al pubblico che ti legge, perché la comunicazione scritta segue regole precise e scientifiche quanto quella orale.

La prima domanda che andrò adesso a “indagare” riguarda proprio il contenuto: cosa raccontare?
Quali elementi determinano l’efficacia della mia comunicazione scritta, dando per assodato che è veicolata dal web?

Voglio analizzare con te, ad uno ad uno, gli elementi che costituiscono e rendono di valore la tua comunicazione sul web:

  • Qualità. Primo indiscutibile elemento: non puoi prescindere dalla pubblicazione di contenuti di valore. Devi dare qualcosa che arricchisca, attraverso la lettura, la vita, le attività, la professione di chi ti legge anche a piccole dosi e in funzione dei contesti.

 

  • Pertinenza. Questo tema sembra scontato ma non lo è. Pertinenza non solo rispetto alle tue tematiche ma anche a quello che sta succedendo nel mondo e che in quel momento gli altri stanno raccontando. Devi assumere una prospettiva più ampia, devi saper modificare con criterio e capacità critica il tuo calendario editoriale se sopraggiungono fatti di cronaca, di politica, di sport, attualità che in quel momento predominano la scena e monopolizzano l’attenzione. Leggi i trend su twitter, leggi le Ansa prima di pubblicare, fatti un giro in rete, o fallo fare a qualcun altro al posto tuo, per capire di che si sta parlando.

 

  • Identità. Puoi scegliere di non parlare direttamente di te, anche perché sai che noia a parlare sempre e solo di te. Quello di cui parli però deve rappresentarti, deve somigliarti. La coerenza è figlia di una consapevolezza d’identità prima di tutto! Quindi se decidi di raccontare un evento, un’iniziativa di altri, devi essere in grado di spiegare in che modo ha a che fare con te.

 

  • Familiarità. Qui entra in gioco la conoscenza del tuo pubblico, devi saper dimostrare che sai a chi stai parlando: quello che racconti e il modo in cui lo racconti deve essere compreso con facilità grazie ad una condivisione di linguaggio molto accurata

 

  • Interazione: conversa con il tuo pubblico. Non scrivere se poi non rispondi a chi ti commenta, ti critica, o ti fa domande in rete. Non sei un manifesto pubblicitario sei un agente dialogante!

 

Facciamo una tappa adesso e …appuntamento al prossimo step!

E no, non te ne stare con le mani in mano ad aspettare me.

Intanto vieni a fare un giro qui che sulla Comunicazione c’è tanto da dire.

Caro cliente ti scrivo

Cosa comunichi ai tuoi clienti?

  • Il valore dei tuoi servizi?
  • I numeri del tuo fatturato?
  • La storia del tuo sogno imprenditoriale?

E soprattutto quando scrivi al tuo cliente, sai a chi ti stai rivolgendo?

Conoscere il proprio pubblico di riferimento sul web è importante quanto conoscere gli uditori in occasione di un discorso pubblico.

Avere presente le caratteristiche del target in ascolto, o in lettura, significa avere l’opportunità di scegliere il linguaggio in termini di contenuti e di stile.

Quindi è un punto focale!!!

Se il web rappresenta una grande opportunità di promozione per chi ha qualcosa da proporre, allo stesso modo offre infinite opportunità di informazione a chi è alla ricerca di un prodotto, quindi, quando si scrive, si deve tener conto che ci si sta rivolgendo a un pubblico per lo più informato.

Cosa devi raccontare dunque ai tuoi clienti considerando che le caratteristiche dei tuoi prodotti/servizi le avranno già rintracciate, controllate attraverso le recensioni e sottoposte a decine di confronti?

Devi raccontare chi sei, quello che fai, perché lo fai e soprattutto da queste cose deve emergere quanto ne sai!
Perché devono scegliere te?
In cosa puoi fare davvero la differenza tu?

Per arrivare a fondo di questa cosa voglio guidarti in un’analisi dettagliata che riguarderà le seguenti aree:

  • Cosa è efficace raccontare, quali contenuti vanno condivisi.
  • Quali canali scegliere e quali contenuti veicolare attraverso questi canali
  • Quando e come fare: informazione, promozione, storytelling.

Sei pronto per questo viaggio?

Prima di accompagnarti però voglio essere sicuro che quando dico la parola COMUNICAZIONE hai idea di cosa stiamo parlando, a livello tecnico e contenutistico.

Fai prima un salto qui!

I discorsi che hanno fatto la storia: Malcom X, “La scheda o il fucile”.

Il discorso in questione è intitolato “La Scheda o il Fucile”.
Non è un inno alla violenza, non è uno slogan, non è una questione ideologica: quello di cui si parla nel mio blog è tecnica.
Tecnica, strategia e struttura della Comunicazione.

Siamo nel 1964 nella Cory Methodist Church di Cleveland, punto di riferimento e di aggregazione della comunità afro-americane, nella quale venne organizzata una tavola rotonda dedicata alla cosiddetta “rivolta negra”.

Tra i relatori quello che più si distinse fu Malcom X.

Si tratta di un discorso piuttosto lungo, per questo ho individuato 3 passaggi fondamentali da analizzare insieme:

Sono ancora musulmano, l’Islam è ancora la mia religione. Questa è la mia fede personale. Così come Adam Clayton Powell è un pastore cristiano che dirige la Abyssinian Baptist Church di New York, ma al tempo stesso partecipa alla lotta politica per la conquista dei diritti dei neri in questo paese, allo stesso modo in cui il dottor Martin Luther King fa il pastore cristiano ad Atlanta nella Georgia e al tempo stesso è alla testa di un’altra organizzazione nera per i diritti civili; cosi come il reverendo Galamison – credo che lo abbiate sentito rammentare – è un altro pastore cristiano di New York che pure si è profondamente impegnato nel boicottaggio scolastico per combattere la segregazione, ebbene, anch’io sono un pastore, non cristiano ma musulmano e credo nell’azione su tutti i fronti con tutti i mezzi necessari.

  1. Si tratta di una presentazione d’apertura mi dirai giustamente tu. Lo è, ma non è solo questo. Il clima dell’epoca e la causa che emerge in questo passo introduttivo fanno chiaramente capire che presentare se stesso non basta: è necessario un rinforzo, un supporto, degli esempi di altri attivisti – con le loro origini culturali e le cause sostenute – che possano fungere da predecessori per avallare la forza di una simile iniziativa.

Sebbene sia ancora musulmano, non sono venuto qui stasera a parlare della mia religione o a cercare di cambiare le vostre convinzioni in materia. Non sono venuto qui per discutere di ciò che ci divide perché è tempo di cancellare i nostri disaccordi e di renderci conto che abbiamo tutti lo stesso problema, un problema comune, un problema che vi costringerà a vivere in questo inferno sia che siate battisti, metodisti, musulmani, o nazionalisti. Non importa se siete colti o analfabeti, se abitate in zone eleganti o nel ghetto, siete anche voi in questo inferno, proprio come me. Siamo tutti nelle stesse condizioni e tutti dovremo vivere nello stesso inferno che ha organizzato per noi lo stesso uomo. Quell’uomo è il bianco e tutti noi abbiamo sofferto qui, in questo paese, l’oppressione politica, lo sfruttamento economico, la degradazione sociale ad opera dell’uomo bianco.

Il dire queste cose non significa che siamo contro i bianchi come tali, ma contro lo sfruttamento, contro la degradazione e contro l’oppressione.

2) Ci siamo. Il focus è chiaro. Siamo qui per parlare di questo e ne abbiamo il diritto in virtù di quanto preannunciato in apertura. Questo è il messaggio chiaro di Malcom X che a livello tecnico è una diretta conseguenza delle argomentazioni presentate in apertura.
In questo passo riesce a riportare l’attenzione in modo schiacciante sulla questione in essere facendo un’altra operazione impeccabile: chiama in causa i diretti interessati, lascia intravedere ai suoi interlocutori le condizioni inevitabili – “l’inferno”- in cui tutti loro vivranno a prescindere dalla loro condizione sociale. Si tratta di un momento di massimo coinvolgimento perché il focus del problema investe tutti senza esclusione di colpi.

Se non si agisce presto, penso che dovrete convenire sul fatto che saremo costretti a servirci o della scheda o delle pallottole. Nel 1964 sarà la volta dell’una o delle altre. Non è che stia per arrivare il momento: il momento è già arrivato. Il 1964 minaccia di essere l’anno più esplosivo che l’America abbia mai visto. L’anno più esplosivo. Perché? E anche un anno politico, è l’anno in cui tutti i politicanti bianchi torneranno nelle comunità negre a far la corte a voi e a me per farsi dare qualche voto; l’anno in cui tutti gli imbroglioni della politica bianca verranno qui nelle nostre comunità con le loro false promesse, ad alimentare le nostre speranze di pacificazione, con i loro trucchi e i loro inganni, con le false promesse che non hanno nessuna intenzione di mantenere. Con questi metodi essi alimentano l’insoddisfazione che può portare solo a una cosa: l’esplosione. Ora qui in America – mi dispiace, fratello Lomax – ha fatto la sua comparsa il tipo di uomo nero che non tollera più di porgere l’altra guancia.

3) Ecco cosa succederà: due alternative- la scheda o le pallottole. Così Malcom X si avvicina alla chiusura di questo primo atto del suo discorso. Le premesse sono chiare, nel corpo del discorso sono esposte tutte le condizioni su cui gli interlocutori devono riflettere per passare all’azione. Il futuro si intravede già e lo stato di coinvolgimento emotivo non può che essere elevatissimo.

Eccoci alla fine di questo nuovo viaggio nel passato che sempre rappresenta un’occasione preziosa per lavorare sugli aspetti della Comunicazione.

Se vuoi approfondire l’argomento ed essere sempre più competente sui temi della Comunicazione ho un bel po’ di cose di cui parlarti. Clicca qui

Candidato politico … e fattelo un corso di Public Speaking [storia vera]

Perché tutti, ma proprio tutti, dovrebbero fare un corso di Public Speaking?

Perché serve, in ogni situazione, in molteplici contesti, nella vita di tutti i giorni.

Pensare che il Public Speaking serva solo a chi per professione è tenuto a parlare spesso in pubblico è la credenza più diffusa e la più pericolosa perché espone al rischio di non poter essere efficace per se stessi e per le persone a cui teniamo nel momento in cui dire le cose nel modo giusto potrebbe fare davvero la differenza in termini di efficacia.

In questo momento le campagne elettorali sono nel centro del mirino, sia perché i cittadini vogliono capirci qualcosa su chi votare, sia per chi è interessato ai processi comunicativi.

Improvvisazione, schemi fallimentari, incapacità di gestire le emozioni e la scarsa esperienza, sono gli elementi principali della brodaglia che mette a rischio la reputazione di molti candidati.

Ti voglio raccontare il caso reale di Alessia, una mia collaboratrice, che lunedì mattina è entrata in ufficio e mi ha raccontato una sua esperienza.

Andiamo nel concreto, e questa volta nel piccolo, in una piccola città, dove valgono le stesse e identiche leggi che nelle metropoli, dove Alessia si è recata per ascoltare la presentazione di una lista di candidati e ha riportato alcune gravi distorsioni comunicative di cui è necessario analizzare i passaggi.

Punto per punto, una piccola riflessione “tecnica” su quello che è accaduto:

  • Non si può elencare ogni singolo passaggio di una strategia, sulla carta vincente, toccando il cuore e le emozioni degli interlocutori, per poi concludere con un “tutto questo potrebbe sembrare utopistico”. Errore gravissimo! Stai contraddicendo tutto quello che hai esposto prima!
  • Parlare male degli avversari ruba solo tempo ed energia! Concentrati sui punti vincenti della tua proposta!
  • Le emozioni. Ci sono, è giusto che ci siano, ma controllarle è necessario.
  • L’esperienza. Insegna sì, ma non vince sempre, quindi non ha senso auto celebrarsi per le esperienze precedenti, il tuo discorso deve puntare sul presente e sull’immediato futuro.

Direi di sfruttare le ore di silenzio elettorale per ripassare le strategie vincenti, a partire dall’analisi della struttura di un discorso pubblico.
Non hai scelta: vieni a leggere qui!

Quando il primo assioma ti sfugge un po’ di mano!

Accade sì: il primo assioma può sfuggire al controllo del mittente.

Eccolo qui:

NON SI PUÒ NON COMUNICARE

Alle volte si ha così tanta voglia di comunicare che il rischio di essere fuori luogo, di ponderare poco e male gli elementi di contesto, di fare figuracce…è pressoché al massimo livello!

Qualche giorno fa abbiamo più o meno tutti festeggiato la ricorrenza del 25 aprile, data che, come sappiamo, segna un importante passaggio per il nostro Paese: la liberazione dall’occupazione nazista e fascista.

Questo è quello che ci raccontano i libri di storia, questo è quello che nella realtà è accaduto…fin qui, mi dirai, tutto torna…ma poi ho fatto un salto sui social…e nella giungla si perde la bussola con facilità.

Il vero problema non è stata la perdita della bussola, quanto piuttosto l’assoluta perdita di senso, e di significato mi sento di dire, legata ad una necessità quasi spasmodica di scrivere quello che passa per la testa senza sincerarsi che la propria cultura generale sia al passo con la realtà delle cose.

La mattina del 25 aprile Facebook, e Instagram a seguire,  era la voce di qualunque causa: ragazzi di 20 anni che chiamavano i propri coetanei “compagni”, persone molto adulte che rievocavano uno dei momenti più cruciali della storia probabilmente dei loro genitori o nonni, donne arrabbiate che postavano lo slogan “non una in meno”, chi attaccava Salvini, chi insultava Casa Pound, chi confondeva la libertà con la liberazione, chi si proclamava partigiano di cause più attuali.

Insomma, in quella data un numero impressionante di persone ha risposto al primo assioma della comunicazione declinando il proprio pensiero su qualunque cosa.

Attenzione!

Qui non stiamo a sindacare sulle opinioni espresse o sulle cause tirate in ballo. Qui, come al solito, si parla in termini tecnici di Comunicazione!

Mi sono detto che se un alieno avesse messo il naso nei social lo scorso 25 aprile non avrebbe capito nulla della ricorrenza tanto cara al nostro Paese.

La voglia di comunicare affonda le proprie radici nei bisogni più ancestrali dell’essere umano e il primo assioma ne è la prova, questo però non significa che si debba del tutto ignorare il dove, il come e il quando!

Quindi mi sento di darti qualche suggerimento per evitare di trovarti nel gruppo di chi ha buttato a caso il proprio ingrediente nel calderone:

  1. Prima di comunicare il tuo pensiero, le tue impressioni, le tue richieste su un determinato argomento, raccogli le informazioni da fonti attendibili. In questo caso bastava il libro di storia, ma non sempre è così facile.
  2. Non ti fidare delle opinioni di qualcuno solo perché lo stimi. Se stimi qualcuno sicuramente avrai le tue ragioni, ma ricorda che le opinioni spesso hanno poco a che fare con la logica. Quindi evita di aggregarti al pensiero di chi stimi solo perché hai un’ottima reputazione di questa persona.
  3. Analizza il contesto, che in termini pratici si traduce nella domanda:”è il caso che io scriva ora questa cosa in questo modo?”. Questa è più o meno la domanda “salvagente” in situazioni simili.

 

La comunicazione è uno strumento dotato di una potenza notevole che si traduce in un a velocità nella diffusione delle informazioni che spesso il mittente sottovaluta.

Sempre la parola giusta…ma con coerenza e congruità!

Pronto per scoprire le più efficaci strategie di comunicazione efficace?

 

Seguimi a questo link

 

2 ORE … ed è il panico! I rischi della comunicazione social!

Dopo il blackout di Whatsapp e Instagram ho fatto un esperimento o meglio un’indagine… Leggi bene cosa ho fatto.

Da anni ormai siamo abituati a misurarci con un modello comunicativo dettato dalle dinamiche del mondo dei social, al punto che, quando questo mondo presenta segnali di cedimento, molti perdono la bussola…e questo non va bene.

La comunicazione nasce ben prima dei social e dei nuovi modi di parlare che questi hanno introdotto, eppure domenica, le due ore di buio di facebook e whatsapp hanno generato un tale caos che molti anziché alzare il telefono (che funzionava benissimo) e chiamare la persona con cui avrebbero dovuto comunicare via whatsapp, hanno preferito lanciare dei veri SOS nei social che ancora funzionavano (assaltando twitter nello specifico!).

Come sai il mondo della comunicazione offre sempre spunti di riflessione, ma in questo caso ha proprio sollecitato in me un desiderio di “indagine” perché sono rimasto stupito di come le persone siano entrate in affanno perché 2 tra i principali canali social del momento si sono presi una pausa di qualche ora.

La maggior parte di quelli con cui ho parlato (12 su 20), non ha pensato di sopperire al mal funzionamento di whatsapp con una telefonata o con un sms tradizionale, ma ha pensato di andare su facebook per verificare se qualcuno aveva lanciato l’allarme e se erano presenti comunicazioni in merito! Non sono riusciti ad accedere e chi ha un account twitter si è sfogato lì.

Andiamo a quelli che hanno scoperto prima il mal funzionamento di facebook e instagram: qui il panico vero.
Ho udito espressioni del tipo “ero fuori dal mondo”, “in isolamento”, “non ero aggiornato sui fatti del mondo e quando ho scoperto di whatsapp non sapevo a chi e come dirlo!”.

Ok
Calma
Respira

Stiamo scherzando?

Come è possibile che l’acquisizione di nuovi comportamenti comunicativi possa indebolire così tanto la capacità di cercare soluzioni comunicative alternative?
Noi non possiamo non comunicare: è il primo assioma!
E allora, come è potuto succedere che un numero esagerato di persone ha pensato di non poterlo fare, di non raggiungere i destinatari desiderati, o, ancora peggio, ma molto peggio, di non poter accedere all’informazione?

Urge la necessità di fissare alcuni punti:

  • Viviamo in un’epoca in cui ci è offerta l’opportunità di accedere a un numero elevatissimo di canali di comunicazione, non mi riferisco all’opportunità di chiedere aiuto su twitter, ma alla capacità di avere sempre un piano B per reperire le persone più importanti da contattare.
  • Non è cosa buona utilizzare i social come veicolo di informazioni sui fatti di cronaca, di politica e sulle notizie in generale: i social sono l’habitat della fake news e molte testate giornalistiche hanno preso l’abitudine di fare dei lanci piuttosto sbilanciati rispetto al contenuto della notizia, solo per racimolare like.
  • Cerca sempre di arrivare alla notizia e gira intorno alle chiacchiere: quando i social sono tornati a funzionare le homepage erano piene di lamentele, il numero delle condivisioni di articoli che spiegassero la natura tecnica del problema era prossimo allo zero.

Comunicare è inevitabile, farlo efficacemente è una competenza che va assolutamente sviluppata, allenata, divulgata!

Sai già come fare?
Io ti suggerisco di fare un salto qui!

La comunicazione volta al consenso: la campagna elettorale

Quale strumento può equiparare la comunicazione in sede di campagna elettorale per l’acquisizione del consenso?
Nessuno.

Lo dice la storia, lo dicono i fatti: la classe politica investe soldi, tempo, risorse, in un piano di comunicazione in grado di garantire quello che serve ai candidati per accomodarsi sulle tanto ambite poltrone.

Cosa deve sollecitare questa comunicazione?
In che modo attraverso specifiche strategie si arriva alle preferenze dei cittadini?
E soprattutto quali sono le emozioni, i ragionamenti, le leve che è necessario andare a smuovere per far sì che una loro reazione si trasformi in consenso?

I valori chiamati in ballo non sono né pochi, né banali: la fiducia, la speranza, la stima, l’identificazione, l’empatia, il senso di protezione.

La classe politica sa che quando il cittadino esprime le sue preferenze in sede di seggi va ad attingere ad almeno uno di questi valori.
Come decidere dunque cosa comunicare e quando?
E soprattutto come si fa ad essere sicuri sul “come”?
La storia un po’ aiuta, ricordiamo il ruolo della radio in tempo di regime tanto per rimanere a casa nostra, pensiamo al contributo che ha dato la stampa per la diffusione delle idee di Martin Lutero, volendo fare un viaggio più lungo nel tempo e in un campo forse persino più complesso di quello politico.

Oggi i mezzi a disposizione hanno una velocità d’impatto mai riscontrata in precedenza nella storia, si può dire tanto, a moltissime persone, in un battibaleno. Il vero problema è l’attendibilità dei contenuti che vengono trasmessi e del modo in cui vengono raccontati.

Entriamo nel merito della comunicazione politica e analizziamo 3 tra i principali canali di diffusione della comunicazione elettorale, il cui potere di influenza si calcola agisca nel tempo in modo “diluito”, pertanto va esercitato con ragionevole anticipo rispetto alla data del voto:

  • Stampa e tv. Quotidiani nazionali e reti televisive hanno spesso un proprio orientamento. Nelle trasmissioni di attualità vengono invitate personalità politiche di partiti antagonisti, ognuno dice la sua sfociando talvolta in un gran boato privo di reale confronto. Anche il racconto dei fatti di cronaca viene spesso utilizzato, quando non strumentalizzato, per far leva sul senso di sicurezza e di giustizia dei cittadini e con lo stesso intento spesso si sceglie quali aspetti raccontare e quando.

 

  • Il comizio politico: è la forma di comunicazione più diretta per i candidati, meno dispersiva a livello tematico ma ha un raggio di coinvolgimento più ristretto, perché arriva esclusivamente agli interlocutori interessati.

 

  • I social: è la giungla. Ogni leader politico, o presunto tale, cede alla tentazione di avere un filo diretto con i propri follower come se li considerasse già “seguaci” affiliati, raramente sfruttano i canali per la condivisione di contenuti informativi, piuttosto ci propinano qualche selfie o il racconto di una loro memorabile impresa.

Si presume che i politici si rivolgano ad agenzie di comunicazione in grado di garantire un certo risultato in termini di raggiungimento di persone, il resto lo fanno le idee dei cittadini e le vicende che si verificano in ogni paese. Accanto alla comunicazione istituzionale c’è una mole di informazioni “fuori controllo” diramate spesso dai politici stessi che non resistono alla tentazione di usare i social pensando di poterne controllare le conseguenze. La storia, di ogni giorno, ci insegna che spesso non è così.

Ogni tipologia di comunicazione, non mi stancherò mai di dirlo, è solida solo se lo sono i suoi pilastri e se non balla la terra su cui poggia.

Quanto ne sai al riguardo?
Vuoi capire meglio cosa vuol dire comunicazione efficace?
Vuoi sapere come funziona la comunicazione d’impatto?
Bene, hai già 2 link su cui cliccare!
Vai!