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Parlare in pubblico: come prepararsi per la performance.

Parlare in pubblico è un’azione che racchiude molteplici attività, prima tra tutte la preparazione della performance.
Ok i contenuti, che tu quelli debba conoscerli è assodato, ma la vera paura di chi deve salire su un palco e parlare – oppure condurre una presentazione – raramente riguarda la preparazione o i contenuti.
Un discorso pubblico richiede una preparazione meticolosa e strutturata, perché gli ostacoli non sono pochi.
Quando si deve parlare in pubblico prendono il sopravvento diversi tipi di paure, tra le più comuni:
  • avere un blocco della memoria e non ricordare più nulla
  • parlare a un pubblico che non ascolta e si mostra impegnato in altre attività mentre tu parli
  • non saper rispondere a delle domande del pubblico
  • finire troppo presto e non sapere come riempire il tempo.
Ecco, quello che tu leggi come un semplice elenco è l’insieme degli elementi che possono terrorizzare uno speaker, specie se parlare in pubblico non è la sua principale attività.
Sai bene che spesso si è tenuti a parlare in pubblico anche quando non si è speaker di professione.
Un manager deve saper presidiare un meeting o presentare un progetto, un libero professionista deve poter presentare i suoi servizi a degli interlocutori/possibili clienti, un aspirante politico deve saper parlare alla propria gente.
Insomma deve essere chiaro che parlare in pubblico non significa esibirsi davanti a 500 persone e dibattere per 5 ore.
Bastano anche due interlocutori affinché tu possa dire che stai parlando in pubblico, e se attraverso le tue parole conduci i loro comportamenti verso l’obiettivo che desideri allora il tuo discorso pubblico ha funzionato.
Il primo passo verso l’acquisizione delle competenze di uno speaker è entrare nell’ordine di idee che si può imparare a costruire un discorso pubblico seguendo un preciso iter che parte dalla preparazione psicologica e arriva alle competenze tecniche.
Come si fa?
Sto lavorando per te!
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Parlare in pubblico: perché è una competenza così richiesta.

Che parlare in pubblico sia una competenza ormai è una certezza che nessuno osa più mettere in dubbio.
Tuttavia per molti non è una professione e questo complica le cose quando –  sia come liberi professionisti, sia per un’azienda in cui si è dipendenti –  c’è bisogno di mettere in atto le competenze di public speaking.

Parlare in pubblico: una competenza nella storia

L’elenco dei grandi oratori della storia la dice lunga, quella di Cicerone è solo una delle immense voci che ha incantato il pubblico. Ma non si tratta solo di questo.
Chiariamoci: ascoltare un magnifico oratore è un’esperienza fantastica, ma questa dote diventa una competenza quando chi ascolta non si limita ad assimilare ciò che ascolta, ma inizia a modificare i propri comportamenti, non a caso alcuni grandi oratori nella storia hanno scritto la politica o il pensiero sociale del loro tempo.

Parlare in pubblico: una competenza trasversale

Parlare in pubblico non è la professione principale per molti.
Quanti public speaker di professione conosci?
Alcuni sicuramente, ma gli strumenti della comunicazione in pubblico servono a una vasta gamma di professionisti: tutti.
Questo significa che spesso il ruolo di speaker è assegnato a chi fa altro di lavoro, o meglio, è specializzato in una specifica competenza di cui deve insegnare i contenuti o quantomeno fare un buon lavoro di divulgazione.
Parlare in pubblico non richiede un vasto numero di ascoltatori, anche se ne hai uno, e magari è quello decisivo, stai già parlando in pubblico.
Questo spiega perché è la competenza numero 1 richiesta.
Devo passare alle maniere un po’ forti chiedendoti uno sforzo immaginativo: sai quanto danno può arrecare al tuo business o alla tua azienda una cattiva gestione e un uso incompetente della comunicazione?
Inizia a contare, c’è tempo per fermarsi.
Puoi permettere che accada?
Rispondo io per te: mai e poi mai no!
Sai qual è la seconda paura al mondo dopo quella di morire?
Volare mi dirai tu.
E invece no, lì si va più volentieri che su un palco a parlare di qualcosa.
Quante volte a un passo da una presentazione l’ansia ha iniziato a manifestarsi?
Quante volte dopo una presentazione ti sei reso conto che non sei stato abbastanza persuasivo con il tuo discorso o sei andato fuori focus?
Quante volte hai avuto la sensazione che tra quello che dicevi e chi ti ascoltava ci fosse un abisso?
Questi sono solo alcuni esempi di possibili scenari.
🎖️Una competenza è un’evoluzione, un affinamento, un arricchimento di un talento.
O semplicemente è il risultato di chi vuole apprendere strumenti fondamentali per lavorare o avere una vita più felice.
Come si fa ad acquisirla?
Sto lavorando per te!
Se vuoi avere informazioni in anticipo 👇
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Performance: come si misura la crescita in azienda?

Quando si parla di Performance si pensa soprattutto ai risultati, all’esito delle azioni messe in atto.
Senza dubbio le azioni sono protagoniste della performance, ma non il punto di partenza.
Una prospettiva vincente è quella che all’interno dell’organizzazione incoraggia un concetto esteso della performance.
Non conta solo quello che viene fatto, ma significa moltissimo il modo in cui si fa.
No, no, non pensare che sia ovvio.
La gestione dei processi di un’organizzazione varia a seconda delle dimensioni della stessa, della dirigenza, della fetta di mercato e da tutta una serie di possibili condizioni incrociate e sovrapposte.
I risultati sono frutto delle competenze, ma non sempre 😟 Può capitare che siano frutto del caso, di un buon momento, di un fortunato incontro tra domanda e offerta.
Come te accorgi?🧐
Osservando i giri successivi, quando le cose prendono pieghe diverse e tu non riesci a gestirle con le stesse procedure, con lo stesso team, con la stessa mentalità.
Hai presente il detto “squadra che vince non si cambia”?
Ecco non funziona così e il detto è ormai quanto meno anacronistico. Questo non significa che non possa mai essere valido, ma potrei obiettare:
  • vince anche contro avversari diversi?
  • vince in quali condizioni di mercato?
  • vince perché tutti fanno quel che devono?
Potrei arricchire questo elenco a dismisura.
Le squadre perdono soprattutto quando non è chiaro cosa ci si aspetta da loro, per arrivare a questo è necessario indagare il concetto stesso di performance e stabilire delle linee guida, che fungano da riferimento per le azioni del team. 💡
Ogni suo componente infatti deve sapere in che modo viene misurato quel che fa.
Misurare non è azione fredda e disumana, è un metodo utile per ricavare parametri e avere riferimenti affidabili.
La misurazione qui non avviene con dei veri e propri numeri, ma con della categorie che in base agli obiettivi e ai comportamenti definiscono la performance secondo 3 parametri:
  • ottimale. Il team apporta all’organizzazione un contributo al massimo delle proprie possibilità. I suoi componenti sono in grado di agire comportamenti che superano le aspettative dell’organizzazione.
  • rilevante. Il team contribuisce in modo significativo al successo dell’organizzazione mettendo in atto comportamenti attesi, in linea con le aspettative.
  • non sufficiente. Il team è lontano dagli obiettivi stabiliti, dunque è necessario intervenire con un percorso di formazione adeguato o con una sostituzione di ruoli e mansioni. Molto spesso risorse poco efficaci su un progetto sono in grado di dare molto se gli viene affidato un compito di adatto alle loro competenze. Anche qui dunque è importante un’analisi dettagliata dei profili, di volta in volta, di progetto in progetto.
Misurare la performance significa avere informazioni dettagliate su come vengono fatte le cose e con quali risultati, solo così sarà possibile intervenire sul team con azioni di formazione o semplicemente con un cambio di ruolo.🎖️
Come si fa tutto questo?
Te lo dico io!

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talento - performance

Talento e performance: l’approccio del Team Manager

Nella valutazione di un talento, il Team Manager, deve indubbiamente tener conto del livello e del risultato delle performance dei suoi collaboratori.
Detta così, sembra facilissima.
Non lo è, per niente.
Le aziende non sono tutte uguali e spesso lo stesso organigramma non prevede una divisione dei ruoli e dei compiti tale per cui un Team Manager possa davvero intervenire sui componenti del team dal talento alla misurazione della performance.
Sono molto frequenti le situazioni in cui chi gestisce un team adotta le stesse tipologie di intervento su tutti, senza avere l’opportunità, o la facoltà, di programmare interventi più mirati in funzione delle caratteristiche della persona e del livello.
Che succede dunque?
Di tutto, neanche la catastrofe può ritenersi esclusa
♦️ Gestire un team significa anche e soprattutto conoscere le risorse in termini di competenze e di potenziale, questo consente al Team di Manager di capire di cosa ha bisogno una persona per fare il salto di qualità e dare il meglio di sé all’organizzazione.
Che informazioni dunque deve cercare?
Cosa deve sapere delle persone che gestisce per metterle nelle condizioni di raggiungere elevati risultati di performance?🧐
Il Team Manager deve costruire quello che nel gergo tecnico viene definito “il profilo del talento”.
Per fare ciò deve partire dall’analisi strutturata di 4 aspetti:
  • lo storico: cosa sa fare una risorsa? Di quali attività si è occupata in passato?
  • il potenziale: cosa potrebbe fare in funzione delle abilità che emergono nelle attività che attualmente svolge?
  • le ambizioni: cosa vorrebbe fare? Esprime preferenze? Emergono ambiti di competenza più estesi quando svolge le sue mansioni?
  • il livello di maturità: in quali delle sue competenze è possibile registrare un alto grado di maturità?
Questi 4 elementi rappresentano un punto di partenza importante per programmare un percorso di crescita davvero incentrato sulla persona.
Occhio però a non farti abbindolare dal fascino dei soli aspetti tecnici perché le persone sono fatte di tante cose e soprattutto quando si parla di crescita non bisogna mai sottovalutare o trascurare le aspirazioni.
Come individuare le aspirazioni di un collaboratore?
Chiedendo direttamente a lui/lei!
Se non c’è la possibilità di confrontarsi in modo diretto si può preparare un sondaggio, un questionario, un gioco di ruolo in cui far emergere le ambizioni professionali non ancora emerse.
Insomma di cose se ne possono fare molte, l’importante è non lasciarle in elenco e agire!
Come partire?
Parliamone!

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apprendimento - competenze

Apprendimento informale di competenze per un team di successo.

L’apprendimento informale di competenze è uno dei requisiti di un team di successo.
Gli effetti della sua efficacia sono così rilevanti che laddove non ci sono le condizioni per ottenerlo spontaneamente si creano.
Non sono rari percorsi di formazione nel team building che attingono dalla realtà e catapultano le persone in contesti distanti da quelli abituali per l’apprendimento spontaneo di competenze che possono poi applicare nelle attività professionali.
Tuttavia c’è una forma di apprendimento informale e soprattutto spontaneo che si genera in autonomia nei team ben assortiti.
Questo tipo di apprendimento è dovuto alla presenza di professionisti in grado di ispirare gli altri o che comunque siano per i colleghi un esempio da seguire.
E qui torniamo al nostro eroe, il famoso Team Manager: come deve agire affinché alcuni componenti del suo team costituiscano un’opportunità di apprendimento per altri?
Deve comprendere le dinamiche relazionali del suo team. per capire:
  • quale caratteristica rende alcuni professionisti d’ispirazione per gli altri;
  • quali sue soft skill sono particolarmente utili alle esigenze del team;
  • che impatto ha una particolare caratteristica di quel professionista sugli altri componenti del team?
  • è cambiato il modo di pensare o l’approccio di altre persone grazie all’influenza di un membro del team?
Questo esercizio di osservazione ha uno scopo ben preciso: individuare un modello positivo che possa influenzare gli altri e condurre l’intero team a una crescita.
♦️ Un buon team non è nella somma delle competenze, ma nel giusto assemblaggio delle competenze di ognuno.
Persone che lavorano ogni giorno assieme, si osservano, si coordinano, si scontrano.
La condivisione di attività e di prassi genera un virtuoso e ciclico apprendimento informale che può generare incredibili benefici al business dell’azienda.
C’è un modo per imparare a generare apprendimento spontaneo nella propria organizzazione?
Certo che sì!
Come partire?
Parliamone!

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sviluppo_talento

Sviluppo del talento: aspettative e azioni del Team Manager

Lo sviluppo del talento dipende da specifiche aspettative e azioni del team manager.
Tra le principali responsabilità di un team manager spicca lo sviluppo e la valorizzazione del talento.
Ogni singolo componente di un team svolge delle mansioni, in base a competenze specifiche e all’esperienza maturata.
♦️ Un team manager coordina, spesso gestisce, prende decisioni, risolve problemi.
Nel mare magnum di queste attività può accadere che si metta da parte, o si trascuri del tutto, il complesso processo di sviluppo del talento.
🔖 Sviluppare il talento di una persona significa indagare il campo delle competenze e confrontarlo con il risultato delle performance per capire cosa quella risorsa fa e come lo fa.
Molte volte accade che ci si interroghi sulle competenze di un dipendente solo quando si arriva all’errore, che, sai bene, ha un costo, per tutti.
Occuparsi dello sviluppo del talento significa agire prima, alle radice, ma se questo non accade allora bisogna essere in grado di recuperare la situazione quando il problema si presenta, prima che sia davvero troppo tardi.
Una situazione frequente, e anche molto rischiosa, è che le risorse siano bloccate da un management inadeguato.
Se una persona al lavoro non rende quanto potrebbe, bisogna interrogarsi sul management e sulle competenze della persona, contemporaneamente.
♦️ La domanda che il team manager deve porsi è: quale mio intervento può cambiare le cose?
Vediamo una lista di possibili scenari a monte di performance al di sotto delle aspettative:
  • chiarezza del compito: il team manager ha spiegato chiaramente le aspettative dell’azienda rispetto alle attività da svolgere?
  • impatto delle attività: è chiaro a chi le svolge?
  • competenza: la persona possiede le giuste competenze per le attività che le sono state assegnate?
  • ostacoli: quali e quanti?
  • ricompensa dell’insuccesso: è possibile che il team manager stia prendendo decisioni che premiano il comportamento sbagliato?
  • corrispondenza ruolo – persona: la risorsa svolge il ruolo giusto? Si trova nel team giusto?
  • feedback sulla performance: viene fornito in modo preciso e costruttivo?
Le domande sono il punto di partenza.
Poi si passa all’azione.
C’è un modo per imparare a farlo?
Certo che sì!
Come partire?
Parliamone!

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stile - di - comunicazione

Il tuo interlocutore ha uno stile di comunicazione estremo? Adotta una formula efficace!

Quando si ha a che fare con un interlocutore dallo stile di comunicazione estremo, la sola e unica strategia efficace consiste nell’utilizzare una formula che ti consenta di gestirlo.
Facile detto così.
Ma soprattutto, cosa significa avere uno stile di comunicazione estremo?
In poche parole, sebbene gli stili di comunicazione non siano mai assoluti, significa avere una prevalenza di aggressività o remissività tale da essere recepita dall’interlocutore come eccessiva o estrema, al punto da creare una situazione di imbarazzo o di difficoltà.
Gli stili aggressivo e passivo sono per loro natura poco equilibrati e rispondono rispettivamente al bisogno di prevalere o di nascondersi, due azioni che nel mondo della Comunicazione non funzionano in modo efficace e costruttivo.🧐
Quando si interagisce con un interlocutore “sbilanciato” in uno dei due stili il rischio maggiore è quello di entrare con lui in empatia al punto da riprodurne gli schemi, i linguaggi, le modalità relazionali.
Questo genererebbe un contesto piuttosto teso con un aggressivo e una totale assenza di iniziativa e azione con un passivo.
L’efficacia spesso è nell’equilibrio tra le parti e poiché nella maggior parte dei casi questo equilibrio non ci viene donato dalla natura, bisogna fare un lavoro su di sé per arrivare ad ottenerlo.
L’obiettivo finale è quello di riuscire ad agire uno stile assertivo, caratterizzato principalmente da:
  • piena consapevolezza di sé
  • fiducia in se stessi
  • assunzione di responsabilità
Quali sono i comportamenti distintivi dello stile assertivo?
• Avere una piena consapevolezza dell’obiettivo e agire in quella direzione
• Affermazione dei propri diritti nel pieno rispetto di quelli degli altri
• La capacità di presentare le proprie argomentazioni in modo chiaro
• Esprimere le proprie emozioni motivandole
• Essere in grado di distinguere i fatti concreti dalle opinioni personali.
• Proporre nuove idee valutandone le possibili conseguenze.
• Dedicarsi all’interlocutore praticando l’ascolto attivo
• Manifestare atteggiamenti di apertura verso l’interlocutore per condividere idee e soluzioni
• Accogliere le argomentazioni degli altri valutandole come suggerimenti
• Riconoscere i propri limiti mettendosi in discussione e mostrandosi disponibile al miglioramento.
• Assumersi la piena responsabilità delle proprie azioni.
L’applicazione di questi comportamenti genera conseguenze positive, come:
  • un clima sereno che non sfocia nel conflitto
  • una dinamica relazionale favorevole al dialogo
  • una maggiore predisposizione a esprimere le proprie idee
Tutto questo non viene da sé, non basta l’impegno, la buona volontà, in questo caso no.
Qui si tratta di lavorare, di continuare a lavorare, di non finire mai di lavorare, sul proprio stile di comunicazione.
C’è un modo per imparare a farlo?
Certo che sì!
Come partire?
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stili_relazionali

Stili relazionali a confronto: i limiti di un interlocutore passivo.

Gli stili relazionali mostrano vantaggi e limiti delle persone che li adottano nelle diverse situazioni comunicative.
Al vertice opposto dello stile aggressivo, si colloca quello passivo.
I due stili relazionali indicano una prevalenza più che un assolutismo, infatti è piuttosto difficile che una persona rispecchi al 100%, e in ogni situazione, un unico stile, senza mai sconfinare in atteggiamenti più vicini anche agli altri stili.
L’equilibro tra lo stile aggressivo e quello passivo può esistere, ma raramente ci viene donato dalla natura, piuttosto è frutto di un lavoro serio e continuativo sulle proprie modalità comunicative e atteggiamenti verso gli altri.
Se lo stile aggressivo non incoraggia o spaventa, anche quello passivo presenta limiti importanti che possono nuocere seriamente all’obiettivo comunicativo e alla serenità degli interlocutori.
Seguimi in questo rapido focus sullo stile passivo e vediamo le principali caratteristiche dei comportamenti di chi adotta in prevalenza questo stile.
  • Non esporsi
  • Non affermare la propria posizione subendo quella degli altri
  • Non dichiarare i propri desideri né il proprio malcontento
  • Non esprimere emozioni, soprattutto quelle negative
  • Non intervenire nella conversazione per proporre una propria idea
  • Non comunicare disaccordo quando le argomentazioni degli altri sono fortemente in antitesi con i propri valori
  • Manifestare la tendenza a lamentarsi senza mai proporre soluzioni o alternative
  • Evitare di prendere di petto i problemi e di proporre soluzioni

Lo stile passivo presenta degli elementi fortemente connotativi anche nella sfera della comunicazione non verbale e paraverbale, vediamone alcuni.

Quando si ha una maggiore tendenza verso lo stile passivo si manifestano i seguenti comportamenti:

– non guardare negli occhi l’interlocutore
– essere molto evasivo
– avere un volume e un tono di voce basso e cantilenante
– muoversi a scatti e con gesti nervosi
– non si ha una buona fluidità verbale, sono numerose pause ed esitazioni
– si ha una gestione dello spazio tendente ad aumentare la distanza dall’interlocutore
Molte cose da affrontare e su cui lavorare, ad una ad una per adottare uno stile comunicativo che ti avvicini quanto più possibile all’obiettivo che vuoi raggiungere. 🎖️
Come partire?
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stile_relazionale_aggressivo

Come riconoscere un interlocutore aggressivo? Identikit di uno stile relazionale.

Un interlocutore aggressivo rappresenta un serio ostacolo alla comunicazione, che si tratti di uno scambio a due o all’interno di un contesto più ampio 😥
Lo stile aggressivo non è difficile da riconoscere, l’unico limite è che spesso può essere interpretato come l’espressione di uno specifico stato d’animo o momento emotivo, quando invece è un vero e proprio modo di porsi.
Nessuna persona al mondo ha un solo stile relazionale, ma possiamo sicuramente affermare che ne ha uno preferito o a cui è più incline.
Gli elementi da considerare sono molteplici: il carattere, le circostanze, l’atteggiamento degli altri interlocutori.
Partiamo dunque da un chiaro identikit dello stile aggressivo per far sì che al bisogno tu riesca immediatamente a renderti conto con chi hai a che fare, o quanto meno quale sia lo stile relazionale prevalente del tuo interlocutore.
Lo stile aggressivo è caratterizzato dalla spiccata tendenza ad esercitare la propria influenza sugli altri, cercando di prevalere senza tenere conto dei loro spazi.
I comportamenti più frequenti rintracciabili nello stile aggressivo sono:· Non dedicare spazio e attenzione alle argomentazioni altrui, sminuendole o criticandole, spesso non ascoltandole.
· Evidenziare gli errori degli altri.
· Attribuire ad altri le responsabilità di un errore senza riconoscere le proprie
· Monopolizzare la conversazione senza interpellare né ascoltare gli altri.
Interrompere gli altri interlocutori.
· Giudicare.

Diamo un’occhiata anche alla sfera del non verbale e  del paraverbale:

· Assumere una gestualità aggressiva (puntare il dito, indicare).
· Tendere a guardare fisso negli occhi l’interlocutore.
· Esprimersi con un tono di voce forte e pungente.
· Avere una fluidità linguistica che impedisce agli altri di entrare nella conversazione.
· Avere una forte tendenza all’avvicinamento nel controllo della prossimità spaziale.
· In termini di controllo del tempo tendere spesso ad invadere gli spazi degli altri.

L’approfondimento dello stile relazionale è il primo grande passo verso una comunicazione efficace.

A partire dall’analisi del tuo!

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pubblico_comunicazione_multisensoriale

Pubblico eterogeneo? Linguaggio multisensoriale!

Il pubblico è quanto di più eterogeneo e diversificato possa capitare ad uno speaker.
Per quanto si possa conoscere il target del proprio discorso, non è allo stesso modo possibile essere nella testa e nelle emozioni di ciascun interlocutore per capire come meglio tarare il proprio discorso.
E allora cosa si fa?
Si impara ad organizzare il discorso in un modo che possa essere interessante, accattivante e soprattutto efficace per ogni singola persona presente nel pubblico.
Come?
Attivando tutti i canali di chi ascolta, attraverso una Comunicazione multisensoriale.
Andiamo subito sul pratico!
Abbiamo già parlato dell’utilità, strategica, di inserire all’interno di un discorso aspetti legati alla sfera sensoriale: il ricordo di un colore acceso, un profumo, un suono di sottofondo.
Ognuno di noi possiede dei sensi più sensibili di altri, un canale preferenziale attraverso il quale filtrare le informazioni che ci vengono trasmesse.
I canali principali, ti ricordo, sono 3:
  •  visivo
  • uditivo
  • cinestetico
… ma, ti ricordo anche questo, ogni persona li attiva in modo diverso, come se potesse regolarmi con un sensore.
C’è chi si sofferma su ciò che vede e cattura ogni dettaglio con gli occhi associando le parole ad un’immagine vivida. C’è invece chi fissa nella mente tutto quello che arriva dal suono, perché ha l’udito particolarmente ricettivo. C’è invece chi recepisce le informazioni attraverso l’onda emotiva, e se non prova nulla, assimila molto poco.
Ognuno è un mondo a sé, ma tu devi trovare il modo di comunicare efficacemente con ognuno di questi mondi.
Come?
Applicando una comunicazione multisensoriale, ovvero capace di alternare le informazioni e distribuirle sui 3 canali, arrivando così ad ogni interlocutore presente nel pubblico.
Come?
Eccoti la risposta:
♦️ puoi inserire aneddoti che contengano riferimenti sensoriali: qualunque sia il soggetto del tuo racconto avrà una forma, un profumo, un’emozione ad esso associata.
♦️ usa le descrizioni anche nei concetti astratti, attraverso parallelismi, metafore, associazioni, in modo da poter arrivare a tutti i canali di codifica delle informazioni.
♦️ chiedi al tuo pubblico di esprimersi attraverso il canale che ognuno sente più affine: coinvolgi le persone, falle raccontare e immaginare.
Qualunque sia il messaggio che vuoi trasmettere, portare la comunicazione a un livello multisensoriale significa moltiplicarne gli effetti.
 
Al lavoro dunque!
Da dove partire?
Parliamone!

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