equilibrio_vita_lavoro

Equilibrio vita – lavoro: come hai costruito il tuo?

La costruzione di un equilibrio tra vita e lavoro è da sempre oggetto di confronto e nuove riflessioni.
I cambiamenti degli ultimi 2 anni, di cui possiamo già misurare gli effetti anche sul piano sociale, hanno aperto un mondo di nuove considerazioni su quel gap difficile da sanare tra gli spazi privati e la vita professionale.
Fino a qualche tempo fa i soli in grado di poter gestire il proprio tempo di lavoro erano i liberi professionisti che hanno l’opportunità decidere come organizzare il proprio tempo in autonomia scegliendo come distribuire lavoro e spazi privati indipendentemente da altri.
Ancora oggi molte professioni non consentono una gestione autonoma del tempo, questo ha inevitabilmente delle ripercussioni anche sulla vita privata soprattutto dove le ore di lavoro prevalgono fortemente su quelle della vita privata.
In molte culture, sia occidentali che orientali, la gestione delle ore di lavoro è stata oggetto di indagine e nuove valutazioni, soprattutto da quando si è iniziato a osservare che gli effetti negativi del troppo lavoro possono seriamente peggiorare la vita delle persone in termini di stabilità emotiva ed equilibri famigliari.
Non sono rari i casi in cui in una conversazione tra manager si faccia la gara tra chi ha lavorato di più, ha terminato a notte fonda o ha lavorato per tutta la notte.
Non è raro che un professionista riversi sul lavoro i propri desideri e ambizioni conducendo se stesso all’esaurimento a causa di un mancato equilibrio tra vita e lavoro.
Non si tratta solo di capacità di gestione del tempo, infatti, ma di priorità, quest’ultime a loro volta sono legate ai valori della persona.
Mi dirai: che male c’è se una persona decide di dedicare la maggior parte del proprio tempo al lavoro perché è la cosa più importante nella sua scala di valori?
Non c’è nulla di sbagliato sulla carta, ognuno è libero di decidere come distribuire le attività nel proprio tempo.
Quello che però è importane tener presente è che non siamo biologicamente predisposti per stare 12 ore al pc, o per caricare pesi sulla schiena ininterrottamente durante la giornata.
Ti potrei fare molti altri esempi di questo tipo ma quello che davvero è importante capire è che non siamo predisposti ad alienarci per il lavoro, a non avere altro che una sola cosa nella vita, senza poter esprimere la nostra personalità altrove.
Per questo è importante fare un analisi dell’equilibrio vita lavoro presente nella propria vita e capire dove si può intervenire in funzione delle proprie opportunità di autonomia nella gestione del tempo.
Attenzione!
Non ho detto che sia facile e che tu debba farlo da sola/o.
Parliamone!

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motivazione_collaboratori

Come intercettare un calo di motivazione nel lavoro? Conosci le leve dei tuoi collaboratori!

Un calo della motivazione è quanto di più naturale e prevedibile possa accadere, sia in ambito personale che professionale, quello che è meno prevedibile, nostro malgrado, è l’effetto che può sortire, soprattutto se non ci si accorge per tempo di quello che sta accadendo.
Gli automatismi di molte attività, la routine delle giornate, spesso ci portano ad alienarci da chi ci sta intorno al punto da non accorgerci se è cambiato qualcosa nelle persone con cui lavoriamo.
I collaboratori possono essere colleghi, dipendenti, soci, o anche fornitori, diciamo pure che questo discorso è estendibile a tutti coloro con i quali hai rapporti di lavoro. 🧐
Le conseguenze di una perdita di motivazione possono essere rilevanti e soprattutto ricadere su tutto il gruppo di lavoro a prescindere da come è strutturato.
Perdita di focus, stanchezza, mancanza di creatività, difficoltà nell’applicare il problem solving: tutti segnali che spesso, se mescolati ad altre cose, possono passare inosservati per un periodo pericolosamente lungo.
Conoscere quanto meno i tuoi più stretti collaboratori è estremamente utile proprio per intervenire a seguito di un calo di motivazione.
Ogni persona è spinta da desideri diversi, c’è chi è motivato dalla diversificazione del lavoro e nel fare sempre le stesse cose si perde, c’è chi non riesce a a motivarsi in autonomia e ha costantemente bisogno del riconoscimento di altri per recuperare energie e dare il meglio di sé💪
Alcuni traggono motivazione dalla propria sfera di competenza, investendo sulle proprie capacità e imparando dagli errori, altri sono spinti all’azione da un desiderio di miglioramento di status che spesso si traduce in un avanzamento di carriera, il che potrebbe implicare che in assenza di questa opportunità ci sia una dispersione di motivazione.
Per altri le radici della motivazione sono ancora più profonde, perché vogliono trarre dal lavoro un senso di valore personale quindi cercano sempre di dare un contributo anche quando non è strettamente necessario! Quando non riescono il sentimento di frustrazione agisce sulla loro concentrazione e voglia di investire ancora le proprie risorse.
Esistono poi professionisti che non riescono realmente a dare il meglio di sé se non vengono costantemente messi alla prova, sfidati: traggono motivazione dagli ostacoli da superare per raggiungere gli obiettivi.🧱
Insomma la casistica è molto differenziata, quello che è importante e non perdere mai di vista il fatto che lavori con delle persone e che ognuna di loro ha una leva motivazionale riconducibile a qualcosa di personale, legato alle proprie attitudini e preferenze, al proprio bagaglio e ai propri timori.
Conoscere i propri collaboratori non è la chiacchierata in pausa pranzo, quanto piuttosto il desiderio di creare degli spazi, dei momenti, dedicati alla crescita del team in cui far emergere questi aspetti e discuterne.
No, non si improvvisa.
Non sai come fare?
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cambiamento-reazioni

Qual è il tuo rapporto con il cambiamento? Focus su atteggiamenti reazioni.

Il rapporto con il cambiamento, per quanto possa essere studiato, migliorato, perfezionato, conserva delle variabili quasi ataviche che ogni persona mette in atto in funzione delle proprie esperienze.
Si tratta di meccanismi per lo più spontanei, seppur consapevoli, nei momenti in cui si verifica un cambiamento importante.
Una situazione di cambiamento può avere luogo in qualunque ambito della vita, ma, mentre nella vita privata l’elaborazione è soggettiva e prevede un margine di gestione autonoma dell’esperienza di cambiamento, nelle organizzazioni le cose sono un po’ diverse.
Fino a qualche anno fa, quando il cambiamento era un processo meno frequente rispetto a oggi, una delle metafore più utilizzate per rappresentarlo era quella del ghiaccio: il blocco di ghiaccio (stato attuale delle cose) si scioglie (cambiamento) e si ricompone in un nuovo blocco di ghiaccio (consolidamento del nuovo stato).
♦️ Oggi il cambiamento attraversa a gran velocità la vita delle persone, la società, il lavoro.
Non sempre c’è il tempo di aspettare l’iter del ghiaccio.
Uscendo dalla metafora è tempo di parlare delle persone.
Che rapporto hanno con il cambiamento?
Gli antichi sostenevano che virtus in media stat, ovvero la soluzione più virtuosa è spesso nel mezzo, ma quando si ha a che fare con l’animo umano si registrano non di rado reazioni che tendono più verso estremità opposte, e quindi semplicemente reazioni negative che si contrappongono a reazioni positive.
Se le reazioni positivo si profilano incoraggianti e motivanti sul fronte delle reazioni negative bisogna andare più cauti perché si possono registrare molteplici emozioni di diversa intensità.
Devi sapere che nell’elenco delle paure più diffuse, quella del cambiamento si colloca nella top five!
Perché?
Perché ti chiede di abbandonare alcune certezze e di abbracciare il nuovo, che, in quanto tale, si profila incerto generando insicurezza e senso di perdita.
Se il senso di perdita può sembrarti già grave non hai ancora indagato a fondo, perché la paura della perdita può generare reazioni piuttosto complesse come l’immobilismo, la rabbia, la negazione, la rassegnazione.
Come si affronta tutto questo?
Facendo un lavoro serio, strutturato sistematico sulle persone.
Non si tratta di un’analisi psicologica, questa area di competenza lasciamola agli specialisti del settore, ma di fornire a professionisti – che sono prima ancora persone – strumenti per affrontare l’ignoto nella loro vita professionale.
Considerando che gli stati d’animo generati dalla vita professionale si ripercuotono in larga parte anche nella vita privata, vale davvero la pena fare una riflessione seria sul tipo di intervento da fare su se stessi.
E poi si agisce, concretamente.
Come?
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cambiamento - ostacoli

Il cambiamento in azienda. Quali ostacoli?

Il cambiamento in azienda a volte è necessario, altre imprevedibile, altre ancora è mal gestito.
Gli ultimi due anni ci hanno insegnato che la capacità di adattamento al cambiamento può fare molto la differenza.
Tuttavia seppur il mondo fuori cambia, alcune situazioni interne alle organizzazioni possono generare problemi proprio per la loro resistenza al cambiamento fino a costituirne un vero e proprio ostacolo.
La situazione, per quanto complessa, ha una spiegazione semplice: si ha a che fare con delle persone e questo è di per sé un elemento di complessità.
Tanto per cominciare devo porti la domanda: come comunico un cambiamento in essere o previsto a breve?
Ormai dovresti aver capito che ogni interlocutore risponde a input diversi e un buon comunicatore non può tralasciare questo dato, pertanto è fondamentale che a prescindere dalle dimensioni dell’azienda si strutturi una modalità comunicativa ben tarata, altrimenti non sarà mai efficace.
Se il numero degli interlocutori è elevato si organizzano dei colloqui per dipartimenti, settori, sottogruppi, quello che vuoi, ma non tralasciare mai questo aspetto.
Per facilitarti il lavoro ti consiglio di partire da un aspetto la cultura aziendale.
In che modo si pensa in quell’organizzazione?
Quel è il mood predominante?
Qual è la modalità operativa che funge da comune denominatore di tutte le sue attività?
Il perché di queste domande è semplice: un cambiamento, anche se minimo, rompe un equilibrio, altera dei meccanismi, propone/impone nuovi modi di pensare.
L’abitudine genera certezza e dover cambiare abitudine non è facile soprattutto in età adulta.
Nuove pratiche e nuovi apprendimenti possono essere allo stesso tempo motivo di entusiasmo e rinnovamento per alcuni e motivo di sconforto per altri, quindi non è possibile applicare una modalità di introduzione del cambiamento standard e uguale tutte le volte, in tutte le situazioni.
La diversificazioni degli interventi pone una soluzione a tutto questo e mette le persone al centro di un processo che le riguarda da vicino e che avrà un impatto elevatissimo sul loro lavoro, ogni giorno.
Conoscere la cultura aziendale significa capire quanto le persone siano allineate con i valori aziendali e quanto siano flessibili e ben disposte con i possibili cambiamenti.
Non si tratta di indagare e interrogare ogni singolo collaboratore quanto piuttosto di rilevare informazioni sulle loro attitudini, preferenze, barriere personali che ostacolano la crescita professionale in un momento di transizione.
Tutto questo necessita di un processo strutturato.
Come si fa?
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successo

Il successo…da dove arriva?

La parola successo richiama una serie di concetti, astratti e non, tutti volti a rappresentare un punto di arrivo, un risultato.
Indubbiamente se si immagina un punto di partenza in qualunque situazione, non si pensa subito al successo, ma ad un percorso da intraprendere per arrivarci.
Per alcuni è frutto del talento, per altri è strettamente legato ai soldi e al potere di influenza, ma se si vuole davvero comprendere cosa sia il successo, e soprattutto arrivarci, è necessario capire cosa va cambiato, quale comportamento va adottato.
Se vuoi arrivare al successo presumo che tu non ci sia ancora approdato. Non parlo di un successo assoluto, come persona nella vita, ma parlo del successo di un progetto, di un’attività, individuale o organizzativa.
♦️ Uno step è necessario definirlo: per condurre una situazione da uno stato attuale perfezionabile ad uno stato desiderato (il successo) devi introdurre un cambiamento. Questo cambiamento può riguardare la sostanza, la forma, la disposizioni, o anche solo la velocità di alcune cose, ma va introdotto nel modo più efficace e funzionale alle necessità di chi lo intraprende.
E già da qui potremmo parlare per ore.
Tanto per cominciare, se vuoi evitare un cataclisma immediato, non cambiare ciò che non conosci: intervieni solo su situazioni di cui conosci ogni dettaglio.
Osservare la situazione attuale ti fornisce un quadro di riferimento attendibile e una base da cui far partire le tue azioni future.
Se ad agire non sei da solo – e sicuramente non lo sei perché anche se non hai collaboratori, avrai comunque interlocutori d’altro tipo, dai clienti ai fornitori – un passaggio importante verso la strada per il tuo successo è ottenere il consenso delle persone coinvolte
Non si tratta di consegnare il proprio destino nella mani di altri, ma di capire che nel lavoro non sei da solo e devi fartene una ragione.
Alla fine di questa trafila non indifferente di azioni da compiere arriva il momento topico: devi programmare e impostare le attività da intraprendere, le iniziative da lanciare, i progetti da implementare.
Se ti hanno insegnato che impostato lo schema il gioco è fatto, fai un passo indietro e metti in discussione le tue convinzioni: non partono nuovi modi di agire se non si lavora sulla cultura sedimentata e condivisa delle persone coinvolte.
La chiave di questo passaggio è qui → se vuoi attuare un cambiamento per raggiungere il successo desiderato fai in modo che le persone vivano e respirino il cambiamento.
Comunicalo, raccontalo con un modo diverso di agire, smantella quello che non ha funzionato.
Quest’ultimo passo richiede tempo, energia e soprattutto sistematicità.
Comunicazione e formazione per un tale obiettivo possono stringere un’alleanza preziosa👌
Concetti, idee, motivazione.
E poi si agisce, concretamente.
Come?
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metodo - per - pianificazione

Lista dei buoni propositi? Per te e per la tua azienda ci vuole metodo!

L’inizio dell’anno offre poche certezze e tra queste c’è indubbiamente la lista dei buoni propositi.
C’è chi si fa un bell’elenco, chi mette tutto in un excel, chi si invia la mail da solo, o meglio le programma per fine anno per verificare il raggiungimento degli obiettivi.
L’inizio dell’anno è così, sempre carico di motivazione e di buone intenzioni, questo perché tutti hanno bisogno di tendere verso qualcosa, e trasformare questo qualcosa in un obiettivo lo rende assolutamente più reale e raggiungibile.
Immagina se tutto proseguisse senza soluzione di continuità, senza mettere un punto, fare la conta di quello che c’è da cambiare per poi andare avanti.
Sarebbe sprecato il lavoro, l’energia, l’impegno che si dedica a ciò che ci sta a cuore.
Quello che vale per le persone, vale anche per le organizzazioni, fatte ovviamente le dovute proporzioni.
Non esistono schemi ripetibili, applicabili in ogni contesto, ma esistono sicuramente delle linee generali che tracciano un metodo, una modalità esecutiva che permette ai singoli e alle organizzazioni di lavorare sugli obiettivi.
Indubbiamente questa linea guida prende in esame tutto quello che va considerato quando bisogna programmare un cambiamento, e dunque:
➡️  pianificazione degli obiettivi
➡️  azioni da svolgere
➡️  metodi e strumenti da utilizzare
➡️  risultati attesi
Non è la Bibbia, ma il punto di partenza dei tuoi buoni propositi, anche perché una volta individuati i suddetti punti, ognuno di loro va inserito e programmato all’interno dei seguenti processi:
  • Analisi: situazione di partenza, quali obiettivi, strumenti, risultati attesi?
  • Progettazione: come sviluppare, scegliere le persone e le azioni, in che modo e quando metterle in campo.
  • Pianificazione: tutto deve rientrare in una logica causa effetto all’interno di una delimitazione cronologica. Quali risultati e per quando?
  • Attuazione: muovere le pedine, mescolare l’ambizione verso l’obiettivo alle azioni più strategiche, l’efficacia del metodo alla concretezza dei risultati attesi.
Nulla di trascendentale, la parola d’ordine è concretezza.
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discorso - credibilità

La credibilità del tuo discorso: contenuto, forma, contesto.

La credibilità è il fattore più importante all’interno di un discorso.
Per quanto si possa essere preparati, disinvolti, competenti, se il discorso non è credibile non funziona.

La credibilità riveste un ruolo importantissimo per l’efficacia della Comunicazione in Pubblico.

Qualunque sia il contesto della tua comunicazione, e l’obiettivo che vuoi raggiungere, non puoi trascurare la credibilità, senza la quale non solo gli obiettivi si allontanerebbero da te alla velocità della luce, ma l’interlocutore difficilmente ti dedicherebbe la sua attenzione.

Ogni atto comunicativo avviene in un contesto specifico e non sempre le caratteristiche di questo contesto si possono scegliere.
Lo speaker quindi deve essere in grado di trasferire contenuti sul suo pubblico sfruttando in modo ottimale tutte le risorse a sua disposizione.
Contenuto, forma, contesto: questi 3 elementi devono essere gestiti con grande competenza.
Ergo:
➡️  prepara il tuo discorso con serietà, il che significa non preparare solo l’argomento su cui verte il focus, ma spazia, rendi te stesso capace di argomentare digressioni, aneddoti, approfondimenti. Aggiornati costantemente su tutto il ventaglio di argomenti di tua competenza.
➡️  cura la forma: linguaggio del corpo, tono della voce, stile linguistico, approccio con il pubblico. Abbi cura di chi ti ascolta in ogni aspetto.
➡️  cerca di controllare il più possibile il contesto: fai dei sopralluoghi se vai in presenza, un tour virtuale se la sede si trova in un’altra città. Fai tutti i check necessari se la tua conferenza è on line, cura l’audio, lo sfondo, la gestione dei documenti da condividere. Non lasciare nulla al caso.
Quando hai appurato che questi 3 aspetti sono sotto controllo concentrati sul tuo pubblico: sarai credibile sono quando le tue competenze saranno in grado di risolvere il problema del tuo pubblico e le tue capacità di oratore saranno in grado di comunicarglielo.
Perché un interlocutore dovrebbe dedicarti il suo tempo?
Perché grazie al modo il cui hai impostato ogni aspetto del tuo discorso chi ti ascolta deve capire, presto, che fa al caso suo.
E come?
Facendogli intravedere quello di cui ha bisogno, il modo in cui il tuo argomento interverrà nelle sue attività, nei suoi progetti e lo condurrà verso gli obiettivi che desidera.
Una cosa utile?
Racconta l’esperienza di chi ci è già passato, un aneddoto che spieghi con chiarezza i vantaggi di quel che descrivi.
Lo sai fare?
Aspetta prima di rispondere!
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potere-dello-sguardo

Il potere dello sguardo … è nel movimento degli occhi!

Sul potere dello sguardo non devo certo convincerti!
Sai per esperienza che attraverso il movimento degli occhi passano contenuti spesso molto più ricchi, e soprattutto più convincenti, delle parole .
Non c’è bisogno di essere un esperto di comunicazione, in questo caso non verbale, per comprendere la mole di emozioni che uno sguardo può veicolare, sia che quelle emozioni accompagnino delle parole, sia che siano gli unici contenuti dello scambio comunicativo.
Immagina una situazione in cui stai parlando a più persone, il tuo pubblico per intenderci.
Quali sono i vantaggi di saper applicare le tecniche di comunicazione non verbale al punto da sapere come utilizzare lo sguardo?
Te ne indico qualcuno in modo che l’esempio ti chiarisca le idee:
➡️  si stabilisce con l’uditorio un rapporto più diretto, meno freddo, in quanto si crea l’atmosfera del colloquio a due, in modo che ogni componente dell’uditorio possa sentire l’interesse su di sé. Non importa che ci siano 4 o 50 persone, con lo sguardo si crea un canale diretto con il proprio interlocutore.
➡️  a vantaggio del relatore si controlla l’ ansia da prestazione, riducendo l’iperattività visiva, quella sorta di movimento compulsivo che quando siamo nervosi ci fa girare gli occhi come delle schegge impazzite per tutta l’aula
➡️  si elimina il rischio di distrazioni visive riducendo il numero di immagini trasmesse al cervello. Ebbene sì, spesso per mascherare e superare il nervosismo ci si guarda intorno, ma, poiché non siamo macchine, è altamente probabile che quell’ “intorno” ti distragga allontanando te dal focus del discorso e il tuo pubblico da te.
Non esiste una regola generale su quanto debba durare un contatto visivo ma esiste una regola percettiva, ovvero una regola che si basa sulla percezione che hanno l’emittente e il destinatario del messaggio.
🔴 Un corretto contatto visivo deve dare la sensazione al nostro interlocutore di essere visto, ovvero deve trasferire quel messaggio del tipo “ti ho visto so che ci sei, grazie di prestarmi ascolto , sei importante in questo discorso”.
Molto importante quando si guarda negli occhi una persona e si sta facendo un discorso in pubblico è annuire e fare un piccolo gesto di consenso con la testa per dire “si, quello che sto dicendo lo sto dicendo a te, quello che sto dicendo è giusto ed è vero!
Grazie che mi stai ascoltando”.
Il contatto visivo trasferisce anzitutto una sensazione di gratitudine nel tuo interlocutore e questo inevitabilmente lo predispone in modo positivo nei tuoi confronti.
Ecco dunque come si sviluppa in un discorso un corretto contatto visivo.
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Ci sta!

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diventare - un - problem -solver

Vuoi diventare un problem solver? Ho qualcosa da dirti!

Sei un problem solver?
Non è mica un mestiere, sai!
Ma una competenza che ti tornerà utile in molti ambiti professionali.
Una soft skill?
Una misura d’emergenza?
Un talento?
Il problem solving è un po’ in ognuna di queste definizioni.
Nella parola solving sono racchiusi richiami che rimandano all’urgenza, alla capacità di gestire situazioni non previste, all’abilità di non farsi travolgere da un cambiamento e non rialzarsi più.
Ogni attività, responsabilità, ogni progetto, richiedono la capacità di saper affrontare e gestire i problemi.
Allo stesso modo ogni settore, ambito e soprattutto ogni tipo di attività, richiede una specifica applicazione del problem solving.
Spesso però la gravità dettata dall’urgenza conduce a soluzioni affrettate senza soffermarsi su quelle che sono le fasi preliminari del problem solving.
In primo luogo è importante capire il motivo per cui dovresti occuparti di un determinato problema. Prova a scandagliare la questione in cui devi imbatterti e che interessa anche i tuoi interlocutori. Sembra scontato, ma non lo è affatto! Soprattutto nella fase incipiente del problema si percorrono spesso più soluzioni i parallelo, perdendo tempo e risorse, per non aver dedicato la giusta attenzione e il giusto tempo all’analisi iniziale.
Prova poi a isolare l’obiettivo. Individua qual è e dove vuoi che sia collocato. L’obiettivo deve al momento puntare a un risultato e non alla soluzione finale, deve essere misurabile e ben identificabile. Anche qui, si percorrono più strade e si immaginano più mete, generando confusione e azioni di intervento approssimative.
Chiaro che arriva a un certo punto l’esigenza di capire come risolvere il problema. Si cerca di capire se ci sono dei precedenti a cui fare riferimento e le cui soluzioni possano essere adattate, o d’ispirazione, al nuovo problema.
Azione e soluzione coronano l’applicazione del problem solving e la distanza tra le due si accorcia se le misure adottate risultano efficaci. 
 
L’efficacia è il risultato di una buona analisi iniziale, che spesso è offuscata dalla fretta di ricolvere.
Non farti ingannare!
 
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voce-nel-public-speaking

Il paraverbale nel Public Speaking: check up della voce!

Nella gestione di un discorso in pubblico, il controllo della voce è un elemento determinante per la buona riuscita nella trasmissione di un messaggio.
Quando parliamo di “voce” siamo ufficialmente nel campo del paraverbale.
La voce ha un ruolo molto importante in una performance, dal vivo o in call (soprattutto senza webcam),  dunque richiede l’applicazione di qualche piccola strategia per essere controllata al meglio.
Partiamo dal primo problema che può verificarsi durante una discorso pubblico: la voce nervosa.
Come controllare questa eventualità?
Ecco, prendi nota che è importante prima che il tuo pubblico si alzi e vada via.
➡️  Prendi consapevolezza che il disagio della voce alterata è più un discorso di percezione interna del suono aggravato dal tuo stato emotivo, il pubblico avverte molto meno che la voce è alterata, quindi un punto a tuo vantaggio.
➡️  Respira profondamente e con un ritmo ridotto per favorire il rilassamento, fatti questo regalo e sentirai che sollievo;
➡️  Evita di tirare continuamente colpetti di tosse per schiarire la voce: è un rumore molto irritante per chi ascolta ed è dannoso per le mucose. Aspetta qualche minuto, dopo l’inizio e questa sensazione di raucedine scompare. Quindi un po’ di pazienza e ti salvi anche da questo;
➡️  Inizia ad alta voce, come se dovessi rivolgerti ad una persona seduta nella ultime file. Esercizio preziosissimo!
Per quanto riguarda invece il volume di voce, è importante utilizzare la tua energia nervosa e trasformarla in un’opportunità raggiungendo un volume elevato ed energico.
Anche il tono di voce è un elemento fondamentale nella gestione della trasmissione del messaggio, soprattutto considerando che il nostro pubblico non è in grado di ricordare tutte le informazioni che riceve, bisogna, dunque, mettere in risalto le più importanti.
🔴  Chiariti gli aspetti basilari ecco un secondo gruppo di consigli imperdibili:
➡️  studia come utilizzare al meglio il tono di voce già dal momento della preparazione dei contenuti;
➡️  usa pause strategiche;
➡️  organizza la comunicazione attraverso piccoli strumenti estremamente efficaci, come: la ripetizione del messaggio e l’enfasi visiva.
➡️  varia il tono di voce durante la comunicazione.
Adesso puoi andare 😉
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Ci sta!

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